AUTORE: Heather Morris
TITOLO: Il tatuatore di Auschwitz
TRADUTTORE: S. Beretta
EDITORE: Garzanti
GENERE: Narrativo – Storico
TRAMA – Il tatuatore di Auschwitz
Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento in poi sarà solo una sequenza inanimata di numeri tatuata sul braccio. Ad Auschwitz Lale, ebreo come loro, è l’artefice di quell’orrendo compito.
Lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo. Quel giorno però Lale alza lo sguardo un solo istante. Ed è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno.
Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non può più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito. La ragazza racconta poco di sè, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno il passato. Eppure sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli.
Ma dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Non per Lale e Gita che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno.
E quando il destino vuole separarli nella gola rimangono strozzate quelle parole che hanno solo potuto sussurrare. Parole di un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle dire di nuovo. Dovranno crederci davvero per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.
FRASI
“Vivrò per uscire da questo posto. Me ne andrò da uomo libero. Se c’è un inferno, farò in modo che questi assassini vi brucino. ”
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“La tua forza può essere una debolezza, date le circostanze in cui ci troviamo.”
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“Salvare un essere umano è salvare il mondo. ”
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“Voglio stare qui con te, per sempre.”
– Per sempre è un tempo lunghissimo.
“Oppure potrebbe essere domani.”
– No, non lo sarà.
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“Non è un’eroina. (…) Vuole soltanto vivere.”
– E questo la rende un’eroina. Anche tu sei un’eroina, tesoro. Che voi due abbiate scelto di sopravvivere è una forma di resistenza a questi bastardi nazisti. Scegliere di vivere è un atto di sfida, una forma di eroismo.
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“Com’è possibile che una razza, disseminata in numerosi paesi, sia considerata una minaccia?” Finchè vivrà – per molto o poco tempo che sia – sa che non lo capirà mai.
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“Ma come si fa a dire addio alla propria madre, alla persona che ti ha dato il respiro, che ti ha insegnato a vivere?”
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“Erano la tua famiglia, lo so. So che è strano per me dirlo, ma renderai loro onore restando vivo, sopravvivendo a questo luogo, e raccontando al mondo quello che è successo. ”
RECENSIONI
Lale Sokolov (nato Ludwig Eisenberg) fu deportato ad Auschwitz nell’aprile del 1942. La sua colpa? Essere ebreo. Questo bastava per essere costretti ad abbandonare la propria famiglia, destinati ai “lavori forzati”, e subire le peggiori ingiurie fisiche e morali da parte dei nazisti.
“ARBEIT MACHT FREI”: il lavoro rende liberi. Una perfida pugnalata al cuore, persino adesso, leggere questa frase, perché proprio della libertà, in ogni sua forma, è stato privato ogni essere umano vittima di questa ideologia malata, di cui ancora oggi possiamo soltanto vergognarci.
Ad Auschwitz non esisteva ceto sociale, non più un paese d’origine, un credo, i giorni sul calendario… neanche più il proprio nome: costretti ad abbandonare anche quello. Ad identificare ognuno dei deportati, dal momento dell’ingresso al campo, una serie di numeri… tatuati sulla tua pelle. Da un prigioniero come tanti altri.
“Il tatuatore di Auschwitz” è la storia di Lale, che ha deciso di resistere ad ogni sopruso, vincendo la violenza con la furbizia, incoraggiato dal calore dei suoi compagni, ormai diventati la sua famiglia; dai ricordi di una famiglia felice… e dal sogno di crearne una propria, con la donna che ama… e che amerà per il resto della sua vita.
“… ma renderai loro onore restando vivo, sopravvivendo a questo luogo, e raccontando al mondo quello che è successo.” Lale c’è riuscito: è riuscito a sopravvivere, a mettere su la famiglia che sognava, a rendere onore ai suoi amici meno fortunati di lui, a dimostrare che l’unica vera forza per vincere il più terribile dei mali sono l’amore e la speranza che un giorno questo possa governare un mondo migliore, senza mai dimenticare gli orrori del passato, perché non si ripresentino. Ho conosciuto Heather Morris tramite il suo secondo libro: “Una ragazza ad Auschwitz”, che mi ha devastata e commossa allo stesso tempo.
Avevo grandi aspettative per questo suo primo romanzo. Ho notato uno stile di scrittura “più giovane e leggero” rispetto a quello che conoscevo già e temevo di rimanere, per questo, un po’ delusa … ma questa sensazione si è davvero fermata soltanto alle prime pagine. È bastato poco perché venisse fuori lo spirito dell’autrice che mi ha fatto tanto tremare il cuore prima… e anche questa volta! Ci vuole già un cuore forte per leggere queste pagine. Non credo sia stato facile ascoltare direttamente dal protagonista la sua storia: è stata una dimostrazione di coraggio; un grande regalo per il mondo intero, poi, mettere tutto per iscritto. Heather Morris ha raccontato ancora una volta una storia straordinaria (perché di due persone normali, ma vissute in un’epoca straordinaria), dalla quale difficilmente si rimane avulsi emotivamente – e non per poco tempo.
Non sempre trovo interessanti nei romanzi postfazione, note dell’autore (figuriamoci i ringraziamenti!), ma con Heather Morris mi sono ricreduta anche su questo. Arricchisce sempre il tutto con informazioni storiche, esperienze personali nella stesura del romanzo, che ti rendono un po’ più facile comprendere il tutto e metabolizzare il fatto che purtroppo niente è frutto di fantasia, in quelle pagine.
Che tutto è successo davvero.
Mi è sembrato di ritrovare un’amica, rileggendo di Cilka nel racconto di Lale: mi ero davvero affezionata alla sua storia.
Non mi sorprende la stima che avessero l’uno dell’altra: erano due anime pure, che si sono incontrate in quel triste cammino e che hanno salvato, ognuna a suo modo, il mondo.
Sì, perché diceva Lale Sokolov “salvare un essere umano è salvare il mondo”.
©Eleonora Nicolosi